giovedì, Novembre 21

La prima pietra è stata posata alle 12 di mercoledì scorso e, come c’era ampiamente da aspettarsi, le polemiche intorno al nuovo Palazzo di giustizia di Parigi non sono mancate. Come ogni grande cantiere che si rispetti, il cui lavoro promette di modificare l’immagine sacra da “città-museo” che la Ville Lumière si porta dietro dal barone Haussmann in poi, anche quest’opera, che per dimensioni, altezza e materiali di realizzazione va certamente ascritta a questa speciale categoria, si sta portando dietro una serie incredibile di detrattori.

Eppure, da italiani, non possiamo che esserne un po’ fieri. Perché in cima al cantiere aperto per la realizzazione di quest’opera faraonica sventola, tra le altre, anche una gigantesca bandiera italiana. E’ quella che da decenni ormai esporta in tutto il mondo un architetto – anzi, per meglio dire, un’ “archistar” – che risponde al nome di Renzo Piano.

Un binomio tutt’altro che inedito quello tra Parigi e l’architetto genovese, il quale già nel ’77 mise la firma sotto un’altra grande opera rivoluzionaria per l’architettura parigina, destinata a cambiarla significativamente, e per sempre: il centro Georges Pompidou. Da allora di… Senna sotto i ponti ne è passata parecchia, eppure a quanto pare ai Parigi continua a piacere l’italiano. Nel senso di architetto, ma forse non soltanto lui.

Composto da quattro “blocchi” di edificio in vetro che ricopriranno in tutto gli oltre 120mila metri quadrati della superficie del nuovo palazzo di giustizia. Circa un ettaro di giardini “sospesi”, come chiamano da queste parti quelli realizzati sopra le terrazze dei palazzi, frazionati in più parti, addolciranno questa struttura ultramoderna e incredibilmente luminosa. Centoquaranta saranno invece i metri d’altezza del nuovo palazzo di giustizia, che sarà il secondo più alto di Parigi dopo la Tour Montparnasse (alta 210metri), e la Tour Eiffel, naturalmente (324metri).

Perché se c’è una cosa che i parigini non accetterebbero mai – mai -, è che qualcosa, neanche un palazzo di giustizia, e tantomeno qualcuno, fosse anche l’architetto più apprezzato del mondo, possa in qualche modo offuscare l’immagine di “sua maestà” la “dama di ferro”.

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